FLEPAR Inail formula proposte operative per una PA a servizio di cittadini ed imprese, a sostegno del mondo impresa-lavoro e delle PMI. Sviluppa le competenze interdisciplinari dei professionisti pubblici per riforme: PA, sicurezza sul lavoro, giustizia, legalità, prevenzione della corruzione.

Ad attività sindacale FLEPAR affianca una intensa attività propositiva e di studio, fornendo contributi in materie strettamente correlate ai compiti istituzionali Inail: si pone come un laboratorio di idee e progetti caratterizzato da un approccio concreto, frutto dell'esperienza diretta sul campo.

Associazione apolitica e senza scopo di lucro, con carattere sindacale, col fine di tutelare interessi giuridici, economici, e funzione, professionalità, dignità e autonomia dei Professionisti Inail.
Interlocutore sindacale dell'Amministrazione, siede con piena legittimazione a tutti i tavoli sindacali.

Nel corso della storia di FLEPAR Inail abbiamo compreso che non sempre è sufficiente avere una buona idea, svilupparla e proporla nelle giuste sedi ma è altrettanto importante la modalità con la quale questa iniziativa viene veicolata e comunicata. Ci siamo resi conto che una comunicazione adeguata e moderna costituisce un valore aggiunto.

Cassazione civile sez. lav. 05 settembre 2006 n. 19047

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglie - Presidente -

Dott. CELENTANO Attilio - Consigliere -

Dott. VIDIRI Guido - Consigliere -

Dott. DE MATTEIS Aldo - rel. Consigliere -

Dott. LA TERZA Maura - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.M., elettivamente domiciliata in ROMA VIA GRAZIOLI LANTE 76, presso lo studio dell'avvocato JASONNA STEFANIA, rappresentata e difesa dall'avvocato MARTINEZ ANTONELLO, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

INAIL - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA IV NOVEMBRE 144, rappresentata e difesa dagli avvocati LA PECCERELLA LUIGI, PUGLISI LUCIA, giusta procura speciale atto notar TUCCARI CARLO FEDERICO in ROMA del 17 giugno 2004 rep. n. 65487;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 92/04 del Tribunale di LOCRI, depositata il 13/01/04 - R.G.N. 4043/99;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica Udienza del 06/06/06 dal Consigliere Dott. DE MATTEIS Aldo;

udito l'Avvocato DE MARINIS;

udito l'Avvocato FAVATA per delega LA PECCERELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAETA Pietro che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nella presente causa si controverte se la neoplasia vescicole estesa che ha causato il decesso del sig. C.V. abbia origine professionale, per il contatto con le sostanze chimiche (coloranti e collanti) usate dal de cujus nella sua attività di artigiano calzolaio dal 1958.

La domanda di rendita ai superstiti proposta dalla vedova sig.ra A.M., con ricorso depositato il 19.9.1994, è stata respinta dal Pretore adito con sentenza 26 marzo 1999 n. 7194, sulla base delle valutazioni della consulenza tecnica d'ufficio medico legale espletata.

Il Tribunale di Locri, con sentenza 2 dicembre 2003 - 13 gennaio 2004, ha respinto l'appello della A., previo espletamento di due consulenze, una medico legale, e l'altra chimica sui campioni delle sostanze usate, rispetto alle quali ha ritenuto più convincenti le argomentazioni scientifiche contrarie sul rischio cancerogeno dell'anilina contenute nelle relazioni tecniche depositate dall'Inail. Il Tribunale ha rilevato che:

1. Il ctu di primo grado Dott. S. ha negato che l'attività di calzolaio espletata dal C. abbia comportato esposizione a sostanze cancerogene, mentre il ctu di 2^ grado Dr. M. ha affermato che l'attività di calzolaio espletata da C. V. ha comportato esposizione a dette sostanze;

2. Entrambi i c.t.u. medico - legali concordano sulla circostanza che talune amine aromatiche, derivate dall'anilina (quali benzidina, betanaftilamina, 4 aminodifenile, auramina) costituiscono fattori di rischio cancerogeno per la vescica;

3. Ma il ctu chimico dr. D.M. ha escluso che i campioni di prodotti (coloranti, collanti), esibiti da parte attrice e riconosciuti dai testimoni escussi in primo grado come utilizzati dal C. nel corso dell'attività lavorativa, contengano alcuna nelle amine aromatiche derivate dall'anilina sopraindicate;

4. Lo stesso ctu ha affermato che gli stessi campioni presentano tracce di anilina (in particolare nel campione A "nero abissino"), e lo ha ribadito anche in sede di chiarimenti, per sostenere che, a suo avviso, il C. è stato esposto ad agenti cancerogeni, e sul rischio cancerogeno dell'anilina si è concentrata la successiva motivazione della sentenza impugnata;

5. sul punto specifico il Tribunale ha ritenuto più convincenti le relazioni tecniche prodotte dall'INAIL (redatte dal dr. chim.

B.S. consulente CON.T.A.R.P.), secondo le quali non è stato scientificamente accertato l'effetto cancerogeno per l'uomo di tale sostanza (a differenza, come già detto, di taluni suoi derivati); tra l'altro, nella classificazione CEE (pur richiamata in sede espositiva dallo stesso c.t.u. M.) l'anilina viene inquadrata tra le "sostanze da considerare con sospetto per i possibili effetti cancerogeni, sulle quali però non sono disponibili informazioni sufficienti per procedere ad una valutazione completa" ed è, perciò, contraddistinta con la sigla R40 (e non già R45 o R49); nella classificazione IARC è inserita nel gruppo 3 (sostanze non classificabili per la cancerogenicità per l'uomo);

nell'elencazione delle ammine aromatiche di cui alle circolari del Ministero del Lavoro n. 46/71 e n. 61/81 (anch'esse richiamate dal c.t.u. M. nella sua dissertazione) l'anilina non è compresa nè nel primo gruppo (ammine aromatiche che, dalla revisione dei dati esistenti nella letteratura, hanno dimostrato attività cancerogena), nè nel secondo (ammine aromatiche di cui è stata testata la cancerogenicità o in una specie animale in esperimento o con risultati non chiaramente valutabili), ma solo, in via residuale, nel terzo gruppo.

6. In sede di chiarimenti, infine, il c.t.u. chimico M. afferma che la neoplasia riscontrata è specifica per il tipo di attività espletata dal C., richiamando la classificazione IARC; ma da una parte dalla tabella allegata dal c.t.u. non si evince rispetto a quale tipologia tumorale "la produzione e riparazione di calzature" è ritenuta attività a rischio (in altra tabella, riportata nella relazione di parte INAIL del 13.6.2003, la vescica non viene indicata tra gli organi bersaglio in relazione a detta attività produttiva e nella tabella già allegata al fascicolo di parte attrice di primo grado l'associazione causale tra produzione e riparazione di calzature e carcinoma alla vescica è indicata solo come probabile, laddove viene qualificata come evidente rispetto l'adenocarcinorna ed alla leucemia), dall'altra il riferimento è comunque ad ... un'attività di natura industriale (come si trae dalle tabelle cui si è fatto cenno per ultimo nelle quali le lavorazioni vengono elencate sotto la dizione "processo industriale"), cosicchè è quantomeno dubbio che possa valere (nella stessa misura) anche in rapporto ad un'attività di natura artigianale. Sulla base delle argomentazioni riportate il giudice d'appello ha concluso che gli elementi in atti non consentono di reputare dimostrato il nesso causale tra l'attività lavorativa svolta da C.V. e la patologia neoplastica di cui egli era affetto. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l' A., con tre motivi.

L'intimato Istituto si è costituito con controricorso, resistendo, ed ha depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 194 e 201 c.p.c., e dell'art. 111 Cost., (art. 360 c.p.c., n. 3), lamenta: a) che alle operazioni peritali in grado di appello abbia partecipato un consulente di parte Inail (il medico Dr. A.) diverso da quello nominato nella memoria difensiva, b) che il giudice d'appello ha dato rilevanza alla relazione della CONTARP dell'Istituto redatta dal Dott. B., anche questi mai nominato e le cui conclusioni, in quanto non autorizzate, avrebbero dovuto essere disattese dal collegio giudicante. Il motivo non è fondato.

Quanto alle censure sub a) le irritualità di espletamento della consulenza tecnica (quali la partecipazione di un consulente di parte diverso da quello nominato) sono rilevanti, solo ove procurino una violazione in concreto dei diritti di difesa (Cass. 9 febbraio 1995 n. 1457; 7 luglio 2001 n. 9231), nella specie non evidenziata.

Quanto alla censura sub b), l'acquisizione di una relazione tecnica da parte del giudice del merito può costituire espressione del suo potere istruttorio ufficioso ex art. 421 c.p.c..

Con il secondo motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 191 c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), si duole che il giudice d'appello abbia disposto una consulenza tecnica d'ufficio di carattere chimico sulle sostanze usate nell'attività di calzolaio, successivamente allo scadere dei termini per le osservazioni delle parti alla consulenza tecnica d'ufficio medico legale. Il motivo è inammissibile, perchè il disporre una ctu costituisce tipica espressione del potere - dovere di accertamento, anche dei fatti materiali non altrimenti acquisibili, del giudice del merito (Cass. 8 gennaio 2004 n. 88, Cass. 17 aprile 2003 n. 6195).

Con il terzo motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 3, dell'art. 41 c.p., e degli artt. 2697 e segg. c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha dissentito dalle valutazioni delle consulenze tecniche d'ufficio medico - legale e chimica.

Osserva, preliminarmente, che il primo ctu aveva concluso per la sussistenza del nesso causale, e che l'Inail non aveva specificamente contestato tale conclusione. Il rilievo, nella misura in cui sembra alludere ad una sorta di giudicato sul punto, è infondato, perchè tutto l'atto di appello dell'Inail è diretto a contestare il diritto della ricorrente, e quindi la sussistenza del nesso causale tra malattia ed attività lavorativa. Prosegue rilevando che il giudice d'appello ha disatteso le conclusioni dei ctu in grado di appello, sia quello medico legale sia quello chimico, i quali hanno affermato che l'attività di produzione e riparazione di calzature comporta notoriamente esposizione ad agenti cancerogeni, certamente presenti in uno dei campioni provenienti dall'attività lavorativa del Sig. C. (sotto forma di anilina e suoi derivati) e, più in generale, nei prodotti utilizzati dallo stesso nello svolgimento della propria attività lavorativa.

Si appella alla giurisprudenza di legittimità in tema di ragionevole grado di probabilità.

Il Collegio ritiene questo motivo fondato.

La sentenza impugnata, pur segnalandosi per lo scrupolo nella ricerca della verità attraverso due consulenze e per la ampia ed articolata motivazione del proprio convincimento, e pur essendo consentito al giudice del merito di dissentire motivatamente dalle conclusioni peritali, appare affetta da due vizi, uno di diritto, l'altro motivazionale, che ne inficiano il ragionamento e le conclusioni negative.

Essa appare censurabile in due punti, laddove afferma che "l'associazione causale tra produzione e riparazione di calzature e carcinoma alla vescica è indicata solo come probabile" e dove afferma che è quantomeno dubbio che la probabilità sopra indicata, riferita alla produzione per il settore industriale, possa valere anche per il settore artigianale.

La prima affermazione sembra non tenere presente l'insegnamento di questa Corte, ricordato dalla ricorrente, in tema di prova del nesso causale della malattia professionale.

Nella valutazione del regime della prova occorre distinguere tra malattia tabellata e malattia non tabellata, perchè nella prima il nesso causale tra lavorazione e malattia professionale è presunto per legge, nella seconda la prova è a carico del lavoratore.

Tale radicale differenza è però attenuata da un duplice rilievo: a) anche nelle malattie professionali tabellate il lavoratore deve provare l'esposizione al rischio, e cioè i fatti materiali che fanno scattare la presunzione legale; b) che il sistema tabellare si è evoluto, passando dalla impostazione originaria basata sulla individuazione degli agenti patogeni e delle lavorazioni morbigene, singolarmente indicati, ad uno più elastico, basato sulla indicazione generica di "malattie causate da ..." e delle "lavorazioni che espongono all'azione di ...". Tale modifica evolutiva, se da un parte ha avuto lo scopo di consentire alla scienza medica ed al sistema di seguire lo sviluppo tecnologico e di tutelare i lavoratori per la nocività insita nei nuovi materiali e nuove sostanze usate nel processo produttivo, sì da individuare nuovi nessi e nuove patologie professionali, dall'altra ha creato la necessità di accertare che la malattia lamentata rientri tra quelle che risultino provocate dall'agente tabellato, secondo le acquisizioni della scienza medica. Anche nelle malattie professionali tabellate quindi, una volta assolto l'onere probatorio di esporre i fatti materiali relativi all'esposizione al rischio, la scienza medica ed il consulente medico legale assumono un ruolo centrale nell'accertamento del nesso causale, che prescinde dagli oneri probatori di parte. In altri termini, l'inclusione di una sostanza cancerogena nella tabella non implica la presunzione legale che qualsiasi malattia cancerosa sia professionale, ma solo quella specifica forma tumorale che la scienza medica ha accertato come provocata da quella sostanza patogena (Cass. 6 aprile 2006 n. 8002 parla di "astratta derivazione dalla lavorazione tabellata"). Nel caso viceversa di agente non tabellato, la prova del nesso causale, come è ben noto, è ad esclusivo carico del lavoratore, nel senso che egli dovrà allegare e provare i fatti materiali (nel caso di specie i prodotti chimici usati nella sua vita lavorativa), sui quali si svolgerà d'ufficio il giudizio medico legale che solo può stabilire il nesso causale dal punto di vista della scienza medica.

Pertanto la prima operazione che il giudice del merito deve compiere è quella di definire se l'agente patogeno di cui sì discute (l'anilina) sia una ammina aromatica derivata dall'ammoniaca o dal benzene, e come tale rientri nella voce 34 della tabella, o in altra, o in nessuna. La seconda operazione è di accertare se la specifica forma tumorale è, secondo la scienza medica, causata dall'agente patogeno tabellato, sul che in effetti si è concentrata l'indagine del giudice d'appello.

Circa il grado di certezza del nesso causale, stante la centralità della valutazione scientifica e quindi del giudizio dell'ausiliare sotto il controllo del giudice, valgono in ogni caso le acquisizioni della giurisprudenza di legittimità in punto di rilevanza del giudizio probabilistico. Essa è passata dal richiedere un grado di certezza, ad uno di probabilità, ed infine alla semplice compatibilità.

Va sicuramente esclusa la mera possibilità. Si è detto che vi deve essere un grado di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell'eziopatogenesi professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante o ragionevole grado di probabilità, per accertare il quale il giudice deve non solo consentire all'assicurato di esperire i mezzi di prova ammissibili e ritualmente dedotti, ma deve altresì valutare le conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale, facendo ricorso anche ad ogni utile iniziativa ex officio diretta ad acquisire ulteriori elementi (assunzione di deposizioni testimoniali, richiesta di chiarimenti al consulente tecnico e quanto altro si appalesi opportuno) in relazione all'entità ed alla esposizione del lavoratore ai fattori di rischio (Cass. 8 gennaio 2003 n. 87; Cass. 20 maggio 2000 n. 6592; Cass. 8 luglio 1994 n. 6434; Cass. 23 aprile 1997 n. 3523; Cass. 7 aprile 1998 n. 3602).

E' stato detto ancora che il ctu può giungere al giudizio di ragionevole probabilità anche in base alla compatibilità della malattia non tabellata con la noxa professionale, desunta dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti sul luogo di lavoro, della durata della prestazione lavorativa, e per l'assenza di altri fattori extra - professionali (Cass. 13 aprile 2002 n. 5352; Cass. 21 febbraio 2003 n. 2716; Cass. 24 marzo 2003 n. 4292).

Si possono a tale scopo utilizzare congiuntamente anche dati epidemiologici (Cass. 25 maggio 2004 n. 10042, Cass. 24 luglio 1991, n. 8310; Cass. sez. un. 4 giugno 1992 n. 6846; Cass. 27 giugno 1998 n. 6388; Cass. 29 settembre 2000 n. 12909), per suffragare una qualificata probabilità (Cass. 5638/1991 cit.; Cass. 3 aprile 1990, n. 2684; vedi, nello stesso senso, D.M. 27 aprile 2004, che ha recepito il parere della Commissione medica nominata ai sensi del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 10, comma 4, secondo cui non si può più parlare di certezza dell'origine lavorativa, ma solo di grado di probabilità, a causa del continuo cambiamento delle esposizioni lavorative e per le interazioni tra causa morbigena e suscettibilità individuale).

Se la scienza medica ha acquisito, anche con un giudizio di probabilità sopra indicato, che l'agente patogeno tabellato può essere in generale causa della malattia professionale lamentata, scatta la presunzione legale, anche ove si tratti di malattia ad eziologia multifattoriale (Cass. 26 luglio 2004 n. 14023).

Sul piano motivazionale la sentenza impugnata non ha adeguatamente spiegato come il giudizio di probabilità tra la riparazione delle calzature ed il carcinoma alla vescica riguardi solo il settore industriale, come si possa parlare di settore industriale per la riparazione delle calzature, e perchè la relazione di cui sopra, ed il suo grado di probabilità, non siano applicabili al settore artigianale. Il ricorso deve essere pertanto accolto, la sentenza impugnata cassata, e gli atti trasmessi al giudice di rinvio, che si designa nella Corte d'Appello di Reggio Calabria, la quale deciderà la causa attenendosi al seguente principio di diritto: "In tema di tutela delle malattie professionali, in caso di agente patogeno tabellato suscettibile di causare una specifica malattia su un individuato organo bersaglio, e non altre della stessa famiglia, la presunzione legale di origine professionale riguarda solo le patologie delle quali la scienza medica abbia accertato in generale il nesso causale con l'agente patogeno tabellato. Tale nesso può risiedere anche in un giudizio di ragionevole probabilità, desunta dagli studi scientifici ed anche da dati epimediologici". Il giudice del rinvio provvedere anche alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Reggio Calabria.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2006.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2006