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Cassazione penale sez. IV, 28 febbraio 2013 (udienza), n. 15881

Cassazione penale sez. IV, 28 febbraio 2013 (udienza), n. 15881

La sentenza si segnala in particolare per i seguenti enunciati: << Ad avviso della corte d'appello, tali circostanze valgono a confermare che il T. avesse consapevolmente e volontariamente assunto la qualità di punto di riferimento alternativo, in materia antinfortunistica, in assenza del capocantiere, in tal senso svolgendo coerentemente gli effetti della delega formalmente conferitegli dal datore di lavoro, ancorché non espressamente o formalmente accettata. (OMISSIS) Su tale punto, secondo l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, in caso di successione nel tempo di norme extrapenati integratrici del precetto penale, deve ritenersi inapplicabile il principio previsto dall'art. 2 c.p., comma 3, qualora si tratti di modifiche della disciplina integratrice della fattispecie penale che non incidano sulla struttura essenziale del reato, ma comportino esclusivamente una variazione del contenuto del precetto delineando la portata del comando; ciò si verifica, in particolare, allorquando la nuova disciplina non abbia inteso far venir meno il disvalore sociale della condotta, e quindi l'illiceità penale della stessa, ma si sia limitata a modificare i presupposti per l'applicazione della norma incriminatrice penale (Cass., Sez. 4, n. 17230/2006, Rv. 234029; Cass., Sez. 2, n. 46669/2011, Rv. 252194). Sulla base di tali principi, ritiene questa corte che la sola introduzione legislativa del requisito della forma scritta dell'accettazione della delega (o dell'introduzione della formale previsione dell'autonomia di spesa del delegato) non é valsa a far venir meno il disvalore sociale della condotta omissiva>>.

(OMISSIS)

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. - Con sentenza resa in data 22.11.2011, la Corte d'appello di Cagliari, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Oristano in data 19.9.2007, ha assolto Pe.Fr. dal reato di omicidio colposo consumato, in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di L.E., in data (OMISSIS), per non aver commesso il fatto, contestualmente confermando la condanna di T.P.G. e di P. G.M. alla pena di otto mesi di reclusione in relazione alla commissione dello stesso reato.

Con la sentenza d'appello, la corte cagliaritana, dopo aver escluso ogni addebito a carico del Pe. in relazione all'omicidio colposo contestatogli, ha viceversa confermato la correttezza della sentenza di primo grado con la quale il T. e il P. erano stati dichiarati colpevoli del descritto omicidio colposo, perché, in violazione dei tradizionali parametri della colpa generica, nonché delle norme precauzionali specificamente richiamate nell'imputazione, avevano omesso, ciascuno nella rispettiva qualità (il P., quale capocantiere, e il T. nella qualità di procuratore tecnico, delegato dalla società (OMISSIS) s.p.a." datrice di lavoro): 1) di disporre le manovre per il sollevamento e trasporto di carichi in modo tale da evitare il passaggio di carichi sospesi sopra i lavoratori (D.P.R. n. 547 del 1955, art. 186); 2) di mantenere in buono stato di uso, di resistenza e d'idoneità, nonché di efficienza, le brache utilizzate per il sollevamento del tubo d'acciaio la cui caduta ebbe a cagionare il decesso del L. (D.P.R. n. 547 del 1955, art. 374); 3) di istruire adeguatamente il lavoratore deceduto in ordine alle modalità con cui eseguire l'operazione di imbraco al fine di evitare i rischi tipici di tali operazioni (D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4); 4) di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere e idonee ai fini della sicurezza e della salute dei lavoratori e, in particolare, di assicurare che le attrezzature di lavoro destinate a sollevare carichi fossero scelte in funzione dei carichi da movimentare, dei punti di presa, del dispositivo di aggancio, nonché tenendo conto del moto e della configurazione dell'imbracatura (D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, commi 1 e 4 ter).

Nel caso di specie, per effetto della sottrazione degli imputati agli obblighi precauzionali cosi compendiati, il L. (nell'occasione destinato, unitamente al collega P.A., allo svolgimento delle operazioni di sollevamento e spostamento di tubi di acciaio) era rimasto investito da uno di tali tubi, inopinatamente staccatosi dall'imbracatura con la quale era stato agganciato, dallo stesso L., alla benna dell'escavatore governato dal P., finendone travolto con il successivo suo decesso.

Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore di T.P.G., affidato a sei motivi d'impugnazione.

2.1. - Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenze, in relazione all'art. 63, commi 1 e 2, art. 197, comma 1, lett. a), artt. 210 e 191 c.p.p..

In particolare, si duole il ricorrente che la corte d'appello, in contrasto con quanto già rilevato nei motivi d'impugnazione avanzati dinanzi alla corte territoriale, abbia utilizzato le dichiarazioni di P.A. a fondamento della ricostruzione dei fatti di causa, qualificandolo come testimone, anziché come imputato in procedimento connesso, con le forme e le garanzie previste per tali ipotesi dal codice di procedura penale, con la conseguente inutilizzabilità delle relative dichiarazioni ai fini istruttori.

2.2. - Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza d'appello per violazione di legge, con particolare riguardo all'art. 40 c.p., comma 2, art. 113 c.p. e art. 589 c.p., comma 2, in relazione al D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 1 e 4 e D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 16 (particolarmente lettere c, d, ed e), nonché vizio di motivazione.

Sul punto, si duole il ricorrente che la corte territoriale abbia trascurato il rilevante significato sistematico assunto dall'entrata in vigore del D.Lgs. n. 81 del 2008, segnatamente nella parte in cui, all'art. 16, disciplina i requisiti necessari affinché la delega di funzioni possa produrre i propri effetti, ai fini del trasferimento della responsabilità relativa alla sicurezza dei lavoratori, in capo al delegato.

In particolare, il richiamato art. 16 (applicabile al caso di specie, quantomeno in forza del principio del favor rei, trattandosi di norma destinata a definire il perimetro delle condotte penalmente rilevanti, o in ogni caso quale criterio interpretativo della normativa previgente) riconosce la validità della delega di funzioni se la stessa, tra l'altro, 1) attribuisce al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate (lett. c); 2) attribuisce al delegato l'autonomia di spesa necessario allo svolgimento delle funzioni delegate lett. b); 3) sia accettata dal delegato per iscritto (lett. e).

Nel caso di specie, la delega di funzioni attribuita al T. doveva ritenersi totalmente invalida e inefficace, non avendo l'imputato mai accettato, né espressamente né tacitamente, di farsi carico delle responsabilità del datore di lavoro nella materia della sicurezza dei lavoratori, né essendo stato munito di autonomi poteri di spesa necessari per lo svolgimento delle funzioni delegate.

2.3. - Con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza d'appello per violazione di legge in relazione all'art. 40 c.p., comma 2, art. 113 c.p. e art. 589 c.p., comma 2, in relazione al D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 4 e 374, e D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, commi 1 e 4, nonché vizio di motivazione.

Sul punto, il ricorrente si duole che la corte territoriale abbia ritenuto sussistente la violazione del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4 (consistite nel non aver istruito il lavoratore deceduto sulle modalità con cui eseguire le operazioni di imbrago al fine di evitare i rischi tipici di tali operazioni), in contrasto con il contenuto delle deposizioni rese da alcuni dei testimoni escussi in primo grado, secondo cui gli operai della (OMISSIS) s.p.a. (compreso il lavoratore deceduto) avevano ricevuto, anche nella materia dell'imbracatura e del sollevamento di carichi, una formazione più che soddisfacente, di gran lunga superiore al tasso medio di istruzione corrente tra gli operai del settore.

Sotto altro profilo, il ricorrente sottolinea l'insussistenza anche degli addebiti di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 374, essendo risultato, ad esito dell'istruttoria testimoniale, che tutti gli operai avevano ricevuto precise istruzioni di chiedere la sostituzione, delle cinghie che si fossero precocemente deteriorate con l'uso, con cinghie nuove, di cui in cantiere vi era ampia disponibilità, e che il soggetto tenuto alla verifica dello stato delle attrezzature (e in particolare delle braghe) era il capocantiere P.G.M..

2.4. - Con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge in relazione all'art. 43 c.p., comma 3, art. 113 c.p. e art. 589 c.p., comma 2, in relazione al D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 4 e 374, e D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, commi 1 e 4, nonché del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4 e/o D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 19; nonché vizio di motivazione.

In particolare, il ricorrente si duole che corte territoriale abbia trascurato le dichiarazioni testimoniali dalle quali erano emerse, come pacifiche, le circostanze: 1) che, nel giorno in cui ebbe a verificarsi il sinistro per cui é causa le cinghie utilizzate dai lavoratori L. e P. (una delle quali poi si ruppe), erano state loro consegnate dal preposto P.G.M., dopo che tutti i lavoratori avevano proceduto all'esame dell'integrità di tali cinghie; 2) che nel cantiere vi era una sicura disponibilità di cinghie nuove disponibili per la consegna ai lavoratori che ne avessero fatto richiesta; 3) che P.G.M. al momento del fatto si trovava a poca distanza dal luogo dove erano impegnati il L. e P.A., dei quali stava seguendo il lavoro;

4) che viceversa in quei giorni l'odierno ricorrente era in ferie; 5) che l'incidente si era verificato a causa della rottura di una braga, risultata deteriorata, consegnata la stessa mattina dal preposto ai lavoratori, nonostante la presenza in cantiere di braghe nuove a disposizione.

Tanto premesso, laddove la corte territoriale avesse tenuto conto del complesso delle circostanze sopra richiamate (ossia, che la formazione professionale era stata regolarmente impartita ai lavoratori; che in cantiere erano sempre pronte e a disposizione delle braghe nuove che i lavoratori sapevano di dover richiedere per sostituire quelle usurate; che il compito sulla vigilanza di quanto sopra incombeva sul preposto), la stessa avrebbe potuto agevolmente riconoscere come il datore di lavoro, o un suo eventuale delegato, doveva logicamente e giuridicamente poter tare affidamento sul corretto svolgimento dei propri compiti da parte del preposto (nella specie il coimputato P.G.M.), con la conseguenza che nessun addebito a titolo di colpa, né di cooperazione colposa, poteva essere sollevato nei confronti dell'odierno ricorrente, dal quale non era esigibile alcuna diversa condotta, stante l'integrale ascrivibilità del fatto alla negligenza del preposto.

2.5. - Con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza d'appello per violazione di legge, in relazione all'art. 69 c.p. con particolare riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, ai sensi dell'art. 62 bis c.p., prevalenti sulla circostanza aggravante contestata di cui all'art. 589 c.p., comma 2; nonché vizio di motivazione.

Sul punto, il ricorrente si duole che la corte d'appello abbia ingiustamente negato la prevalenza delle circostanze attenuanti generi-che riconosciute in favore dell'imputato, non valorizzando il carattere lieve della colpa dello stesso, con conseguente vizio di motivazione, anche in relazione alla conseguenze di legge sul piano del riconoscimento della prescrizione del reato per il caso della prevalenza invocata.

2.6. - Con il sesto motivo, il ricorrente censura la sentenza d'appello per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, con particolare riguardo all'art. 82 c.p.p., commi 1, 2 e 3, e art. 100 c.p.c.; nonché vizio di motivazione.

Al riguardo, il ricorrente si duole che la corte d'appello abbia confermato le statuizioni civili della sentenza di primo grado, nonostante le parti civili non si siano presentate e non abbiano partecipato al giudizio d'appello, non rassegnando le conclusioni scritte, con conseguente revoca della costituzione ex art. 82 c.p.p., comma 2, soprattutto nonostante che le stesse parti civili avessero manifestato l'esplicita volontà di revocare la costituzione attraverso il loro procuratore, il quale, con dichiarazione depositata all'udienza davanti alla corte d'appello del 31.5.2011, mediante sostituto all'uopo incaricato, con delega scritta di depositare l'atto di quietanza attestante l'avvenuto risanamento del danno da reato a tutte le parti civili", ha dichiarato che "tutte le parti civili hanno ottenuto il risarcimento del danno da reato, con revoca della costituzione", in tal modo dimostrando di non avere più interesse ad agire, ai sensi dell'art. 100 c.p.c., con conseguente cessazione della materia del contendere sul punto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.1. - Il primo motivo di ricorso é infondato, e sotto altri aspetti connotato da profili di aspecificità, costituendo la mera reiterazione di censure sollevate in sede di appello e adeguatamente superate dalla corte territoriale.

Al riguardo, la corte d'appello ha espressamente evidenziato l'irrilevanza della questione sollevata dal ricorrente, sottolineando il carattere pacifico delle circostanze secondo cui l'escavatore era, al momento del sinistro, manovrato da P.A. e che l'incidente che ebbe provocare il decesso del L. (travolto da un tubo d'acciaio oggetto dello spostamento verso la sede di destinazione) fosse da attribuire alla rottura della braga alla quale era rassicurato il tubo.

L'asserzione secondo cui tali circostanze fossero rimaste incontestate (e dovessero ritenersi, pertanto, pacifiche), non é stata minimamente contraddetta dall'odierno ricorrente, il quale ha omesso di indicare quale alternativa ricostruzione critica dei fatti sarebbe stata in ipotesi possibile in forza degli elementi di fatto noti al processo (la manovra dell'escavatore da parte del P.; la rottura della braga con la caduta del tubo d'acciaio; la morte del L. per effetto dell'investimento da parte del tubo d'acciaio).

3.2. - Il secondo motivo di ricorso é infondato.

Il ricorrente prospetta, sul punto, la questione dell'applicabilità, al caso di specie, della sopravvenuta disciplina legislativa della delega di funzioni di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 16, che richiede, ai fini della validità di detta delega in materia di controllo sulla sicurezza dei lavoratori, che la stessa sia accettata per iscritto dal delegato e che quest'ultimo sia dotato di autonomia di spesa ai fini dello svolgimento dei propri compiti.

Nel caso di specie, pur in assenza di detta accettazione per iscritto della delega (là dove non risulta si sia mai fatto questione dell'autonomia di spesa del T.), la corte d'appello ha riconosciuto la qualità di delegato in capo al ricorrente in forza di due considerazioni d'indole sostanziale, costituite, da un lato, dall'esistenza di una delega scritta ampiamente riconoscitiva di poteri e di responsabilità del T. nella materia dei rischi inerenti la sicurezza dei lavoratori e, dall'altro, dalla circostanza che tutti i dipendenti (secondo quanto emerso sulla base delle dichiarazioni testimoniali acquisite), in caso di assenza del capocantiere, si rivolgevano costantemente e regolarmente al T. per la risoluzione di ogni questione concernente la sicurezza sul lavoro.

Ad avviso della corte d'appello, tali circostanze valgono a confermare che il T. avesse consapevolmente e volontariamente assunto la qualità di punto di riferimento alternativo, in materia antinfortunistica, in assenza del capocantiere, in tal senso svolgendo coerentemente gli effetti della delega formalmente conferitegli dal datore di lavoro, ancorché non espressamente o formalmente accettata.

Nel caso in esame, si tratta dunque di risolvere la questione relativa all'applicabilità della sopravvenuta disciplina legislativa destinata alla fissazione dei requisiti di forma e di sostanza necessari ai fini della validità della delega di funzioni, in vista dell'applicazione della legge penale.

Il tema deve ritenersi in astratto rivestito di una sua sicura rilevanza, poiché lo sviluppo della giurisprudenza di legittimità formatasi, in tema di delega di funzioni, sotto il vigore della disciplina antevigente rispetto alle nuove disposizioni del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 16, muovendo da posizioni caratterizzate da minor rigore (cfr. Cass., Sez. 4, n. 12800/2007, Rv. 236196, secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro può essere esonerato dalla responsabilità penale se dimostri di aver delegato ad altri i relativi compiti con atto certo ed inequivoco che, quantunque non necessariamente scritto, deve poter essere provato in modo rigoroso quanto al contenuto e alla forma espressa), e pur giungendo a conclusioni più esigenti (la delega di funzioni nell'esercizio di un'attività di impresa esonera il titolare dalle responsabilità penali connesse alla correlata posizione di garanzia se é conferita per iscritto al delegato, essendo inidoneo il conferimento in forma orale: Cass., Sez. 3, n. 6872/2011, Rv. 249536), ha in ogni caso sempre escluso l'esigenza di una formale accettazione per iscritto della delega di funzione (viceversa introdotto dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 16).

Secondo la prospettiva aperta dall'art. 2 c.p. (ossia sul piano della successione di leggi penali nel tempo, in connessione con il tema della modificazione della norma extra-penale che rifluisce sulla costruzione della fattispecie incriminatrice), occorre interrogarsi se la modificazione delle norme che disciplinano i requisiti destinati a individuare il soggetto a cui é imposto, ai sensi dell'art. 40 c.p., l'obbligo giuridico di impedire l'evento (nei reati omissivi impropri) costituisce o meno un'effettiva ipotesi di successione di leggi penali nel tempo rilevante ai fini dell'applicazione della legge più favorevole al reo.

Su tale punto, secondo l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, in caso di successione nel tempo di norme extrapenati integratrici del precetto penale, deve ritenersi inapplicabile il principio previsto dall'art. 2 c.p., comma 3, qualora si tratti di modifiche della disciplina integratrice della fattispecie penale che non incidano sulla struttura essenziale del reato, ma comportino esclusivamente una variazione del contenuto del precetto delineando la portata del comando; ciò si verifica, in particolare, allorquando la nuova disciplina non abbia inteso far venir meno il disvalore sociale della condotta, e quindi l'illiceità penale della stessa, ma si sia limitata a modificare i presupposti per l'applicazione della norma incriminatrice penale (Cass., Sez. 4, n. 17230/2006, Rv. 234029; Cass., Sez. 2, n. 46669/2011, Rv. 252194).

Sulla base di tali principi, ritiene questa corte che la sola introduzione legislativa del requisito della forma scritta dell'accettazione della delega (o dell'introduzione della formale previsione dell'autonomia di spesa del delegato) non é valsa a far venir meno il disvalore sociale della condotta omissiva, e quindi l'illiceità penale della stessa, non avendo quell'introduzione inciso sulla struttura essenziale del reato, comportando esclusivamente una variazione del contenuto del precetto, delineando la portata del comando e limitandosi a modificare i presupposti per l'applicazione della norma incriminatrice penale.

Esclusa pertanto l'applicabilità, quale disciplina più favorevole al reo (ai sensi dell'art. 2 c.p.), del nuovo regime relativo alla delega di funzioni, dev'essere qui confermata la congruità e l'adeguata linearità, sul piano logico, dell'argomentazione dettata sul punto dalla corte territoriale, la cui motivazione deve ritenersi pertanto del tutto immune dalle censure e dai vizi in questa sede denunciati dal ricorrente.

3.3. - Il terzo e il quarto motivo (congiuntamente esaminabili, in ragione dell'intima connessione delle questioni sollevate) sono infondati.

Le argomentazioni sul punto illustrate dal ricorrente fanno riferimento a una pretesa scorretta valutazione delle prove testimoniali da parte del giudice d'appello; prove testimoniali che, secondo il ricorrente, appaiono viceversa tali da consentire il raggiungimento di una prova certa in ordine all'adeguata trasmissione, ai lavoratori, di informazioni e istruzioni, o alla corretta preparazione in ordine alle modalità di esecuzione delle operazioni lavorative da svolgere e all'uso delle attrezzature.

Tali censure, tuttavia, si fondano su una lettura delle deposizioni testimoniali (qui riprodotte nel corpo del ricorso per cassazione) che appare solo parziale e in ogni modo riferita a locuzioni ed espressioni utilizzate dai testimoni ancora generiche, tali da non infirmare la linearità del ragionamento seguito sul piano logico dalla corte territoriale, che ha opportunamente sottolineato (pag. 10 della sentenza) come la mera imprudenza dei lavoratori non escluda che il soggetto tenuto al controllo conservi l'onere di una puntuale e costante verifica del rispetto delle misure antinfortunistiche, di volta in volta incentrata sullo svolgimento delle specifiche operazioni lavorative in corso, e sull'adeguatezza, volta per volta, delle attrezzature utilizzate; ciò, in particolare, in occasione del compimento di operazioni caratterizzate da intrinseca pericolosità, come quella oggetto dell'odierno processo, in relazione alle quali la corte d'appello ha ritenuto non adeguatamente comprovata l'assoluzione, da parte del delegato del datore di lavoro, del persistente obbligo di controllo sulle modalità di svolgimento delle operazioni lavorative e sulla scelta delle attrezzature da destinare al compimento delle stesse, in forza di una motivazione in sé coerente e adeguatamente lineare sul piano dello sviluppo logico, senza che i generici riferimenti alle deposizioni testimoniali richiamate nel ricorso valgano ad apportare elementi di contraddizione o di illogicità, rispetto alle argomentazioni sostenute nella sentenza impugnata.

Con particolare riguardo alla pretesa esclusione di responsabilità dell'imputato, in ragione della preponderante posizione di garanzia assunta dal coimputato preposto P.G.M., é appena il caso di richiamare il principio affermato dalla giurisprudenza di questa corte, ai sensi del quale, in tema di omicidio colposo da infortuni sul lavoro, se più sono i titolari della posizione di garanzia (nella specie, relativamente al rispetto della normativa antinfortunistica sui luoghi di lavoro), ciascuno é, per intero, destinatario dell'obbligo giuridico di impedire l'evento, con la conseguenza che, se é possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, é, però, doveroso per l'altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente intervenuto. Ciò deve ritenersi sia quando le posizioni di garanzia siano sullo stesso piano, sia, a maggior ragione, allorché esse non siano di pari grado, giacché, in tale ultima evenienza, il titolare della posizione di garanzia, il quale vanti un potere gerarchico nei confronti dell'altro titolare investito, a livello diverso, della posizione di garanzia rispetto allo stesso bene, non deve fare quanto é tenuto a fare il garante subordinato, ma deve scrupolosamente accertare se il subordinato é stato effettivamente garante ossia se ha effettivamente posto in essere la condotta di protezione a lui richiesta in quel momento (Cass., Sez. 4, n. 38810/2005, Rv. 232415.

Più di recente v., in termini, Cass., Sez. 4, n. 45369/2010, Rv.

249072, secondo cui in tema di reati emissivi colposi, se più sono i titolari della posizione di sfrangi" - nella specie, relativamente al rispetto della normativa antinfortunistica sui luoghi di lavoro -, ciascuno é, per intero, destinatario dell'obbligo giuridico di impedire l'evento, con la conseguenza che, se é possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, é, però, doveroso per l'altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente intervenuto).

3.4. - Il quinto motivo d'appello é infondato, avendo la corte territoriale radicato il giudizio di equivalenza delle circostanze attraverso il richiamo espresso agli indici di fatto rilevanti ai fini dell'art. 133 c.p., con particolare riguardo alla gravità del reato contestato all'imputato e alla consistenza del relativo grado di colpa; quest'ultimo, in particolare, riconosciuto tale da impedire un più favorevole esito del giudizio di comparazione tra le attenuanti generiche riconosciute e l'aggravante contestata.

Tale valutazione, condotta secondo criteri di adeguata consequenzialità logica, deve ritenersi immune dalle censure sul punto sollevate dal ricorrente, tenuto conto dell'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all'art. 133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (v. Cass., Sez. 3, n. 26908/2004, Rv. 229298; Cass., Sez. 4, n. 25532/2007, Rv. 236992; Cass., Sez. Un., n. 10713/2010, Rv. 245931).

Le restanti doglianze sul punto illustrate dal ricorrente devono ritenersi pertanto mere censure in fatto, inammissibilmente proposte in questa sede di legittimità.

3.5. - Il sesto e ultimo motivo di ricorso é infondato.

Su tale punto, occorre preliminarmente rilevare come, in conformità al principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi che, qualora le conclusioni della parte civile siano state rassegnate nel processo di primo grado, la mancata presentazione delle conclusioni scritte nei giudizi successivi non determina la revoca della costituzione di parte civile, rimanendo valide, in quanto tali, in ogni stato e grado del processo, in virtù del principio di immanenza della costituzione di parte civile (Cass., Sez. 6, n. 48397/2008, Rv. 242132. V. anche Cass., Sez. 5, n. 38942/2006, Rv. 235486, secondo cui la mancata presentazione delle conclusioni scritte e della nota spese nel giudizio di appello non comporta la revoca implicita della costituzione di parte civile qualora la domanda di rifusione delle spese sia stata, ancorché genericamente e oralmente, proposta, in quanto l'art. 153 disp. att. c.p.p. non prevede alcuna sanzione al riguardo).

Nel caso di specie, neppure ricorre l'ipotesi dell'espressa dichiarazione della revoca della costituzione di parte civile per effetto della dichiarazione depositata all'udienza davanti alla corte d'appello del 31.5.2011 mediante il sostituto all'uopo incaricato, con delega scritta di depositare l'atto di quietarne, attestante l'avvenuto risarcimento del danno da reato a tutte le parti civili".

Conviene evidenziare, al riguardo, come, in detta udienza, il sostituto del difensore delle parti civili (munito della ridetta delega) si é unicamente limitato al deposito della quietanza in esame nel fedele adempimento dell'unico incarico cui era stato adibito.

A seguito della presentazione di tale quietanza (contenente la dichiarazione del difensore delle parti civili secondo cui "tutte le parti civili hanno ottenuto il risarcimento del danno da reato, con revoca della costituzione"), la corte d'appello ha emesso, alla stessa udienza del 31.5.2011, un'ordinanza con la quale ha "rilevato che l'atto di revoca della costituzione di parte civile non é stato effettuato secondo le forme dell'art. 82 c.p.p.", invitando il difensore delle parti civili "a far pervenire un atto redatto secondo le forme dell'art. 82 c.p.p. dal quale risulti la revoca detta costituzione di parte civile per intervenuto risarcimento del danno", con rinvio ad una successiva udienza.

Di seguito, nessun atto é pervenuto dalle parti civili, che non si sono più presentate, né é più comparso in udienza il loro difensore.

L'ordinanza della corte d'appello del 31.5.2011 (che del tutto correttamente, sotto il profilo logico-giuridico, ha ritenuto irrituale la dichiarazione del difensore delle parti civili depositata in detta data, ai fini della revoca della costituzione di parte civile) non é stata neppure contestata dall'odierno imputato, con la conseguenza che deve ritenersi del tutto priva di fondamento la pretesa del ricorrente, tanto nella parte in cui ritiene intervenuta una revoca di costituzione di parte civile (per il ricordato principio dell'immanenza della costituzione di parte civile e per l'inidoneità, ai fini della revoca di tale costituzione, della dichiarazione depositata all'udienza del 31.5.2011), quanto nella parte in cui invoca la declaratoria della cessazione della materia del contendere, siccome inadeguatamente fondata.

4. - Al riscontro dell'infondatezza di tutti i motivi di doglianza avanzati dal ricorrente segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 febbraio 2013. Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2013